Sorprendentemente, è l’architetto giapponese Terunobu Fujimori a proporre, per il Padiglione Vaticano, l’edificio che più si avvicina all’immagine di cappella che chiunque abbia in mente. Forse, è proprio il suo essere estraneo alla cultura occidentale, che gli permette di individuarne più facilmente la radici e l’identità.
Per un giapponese, croce vuol dire cristianesimo
Al centro del progetto, vi è il simbolo della croce, che, nella cultura giapponese, distingue in modo inequivocabile il cristianesimo, dal suo arrivo in Giappone nel XVI secolo fino ad oggi. Infatti, è sufficiente una piccola croce sul tetto di un edificio anonimo per qualificarlo come cappella cristiana. L’architetto decide, perciò, di integrarla e renderla parte essenziale dell’edificio. Le tipiche costruzioni giapponesi in legno, fatte di travi orizzontali e verticali, gli permettono di inserire facilmente la croce quale elemento portante.
L’esterno
Un’unica semplice aula rettangolare di 8,5 x 6 m è, quindi, coperta da un tetto a capanna, dalle superfici lignee nere. In corrispondenza della parete di ingresso, sei tronchi non totalmente scortecciati scandiscono e delimitano un piccolo portico, che accoglie il fedele. L’accesso alla cappella è molto stretto: un’apertura di soli 40 centimetri, infatti, obbliga l’ingresso di una persona alla volta.
L’interno
All’interno, si apre uno spazio ampio e semplice a navata unica. Lo sguardo è subito catturato dalla croce in legno centrale, ricoperta al centro di foglie d’oro, per sottolineare la resurrezione che segue a quella morte. Le candide pareti sono state poi ricoperte, in corrispondenza della croce, con dei frammenti di carbone, per farla risaltare ancor di più. E’ interessante che il palo centrale continui oltre la copertura, andando a creare un’altra croce sulla sommità del tetto, per identificare la cappella anche dall’esterno.
Gli arredi liturgici
Dieci panche in legno, suddivise in due file, permettono di accogliere fino a 30 fedeli. In corrispondenza della zona del presbiterio, Terunobu Fujimori sceglie di non creare un altare rialzato, ma di posizionare i fiori, le candele e la Bibbia vicino al suolo, su dei bassissimi supporti in legno. La scelta è maturata da una visita alla collina del Golgota a Gerusalemme: l’architetto fu colpito dal fatto che la roccia della deposizione e quella di fronte alla crocifissione fossero quasi sepolte nel terreno. Appoggiare al suolo la Bibbia e le candele permette “di essere un po’ più prossimi alla scena che si verificò 2000 anni fa sul Golgota” (Vatican Chapels, a cura di Francesco Dal Co, Mondadori Electa, 2018).
La luce
La cappella è dotata di diverse fonti di luce: quella principale fornisce una luce zenitale, proveniente da un’apertura vetrata nel tetto. Altre due fonti secondarie provengono dalla parte superiore delle pareti laterali, dove delle finestre a nastro sono ricoperte dalla carta washi, decorata dall’architetto.
L’incontro di due culture
La cappella intriga e stimola la riflessione per il fatto che un architetto, dalla cultura così diversa da quella occidentale, costruendo con tecniche e materiali tipici della sua cultura, sia riuscito a realizzare un edificio sacro che sentiamo più familiare di tutte le altre nove cappelle.
Bibliografia, sitografie e referenze fotografiche:
- Vatican Chapels, a cura di Francesco Dal Co, Mondadori Electa, 2018
- www.guidafinestra.it/biennale-vatican-chapels-e-lignoalp/
- www.archilovers.com/projects/226338/terunobu-fujimori-s-vatican-chapel.html#images
- icondesign.it/news/biennale-architettura-vaticano/
- www.artribune.com/progettazione/architettura/2018/05/biennale-architettura-2018-vaticano/attachment/biennale-di-architettura-di-venezia-2018-padiglione-vaticano-terunobu-fujimori-photo-irene-fanizza/